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 Pio Laghi, ex Parroco di Porto Garibaldi

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V I S U A L I Z Z A    D I S C U S S I O N E
gianluca Inserito il - 28/01/2009 : 19:14:49
11 Gennaio 2009:
Porto Garibaldi è in lutto per la morte, avvenuta a Roma, dell’85enne card. Pio Laghi.

Nominato parroco di Porto Garibaldi nel 1945 è rimasto sempre in contatto con alcune famiglie locali e con la parrocchia, tanto che una delegazione di cittadini si recò a Roma per la sua ordinazione cardinalizia e nel 1984, per il centenario della parrocchia, fu lui a presiederne la celebrazione.

La carriera del cardinale è stata rilevante, fu Nunzio Apostolico in Terra Santa e negli Stati Uniti, a Roma venne nominato Prefetto della Congregazione per l’educazione Cattolica.
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Nel primo dopoguerra a Porto Garibaldi, un tale Guido Vincenzi era famoso per il suo anticlericalismo, fino al punto di aver ricevuto l'appellativo di "mangiapreti". Guido Vincenzi aveva un certo peso, svolgeva le mansioni di direttore dell'Ufficio Postale e segretario dell'Associazione Pescatori e Marittimi. Vincenzi era un sostenitore delle tesi marxiste. Per lui chi non era a favore della rivoluzione bolscevica, era un nemico inconciliabile e tra questi avversari i sacerdoti erano in prima fila.

Il 12 novembre del 1946 l’irruente dirigente antinopolitica consegnò a Mario Samaritani, altro "notabile" del paese, impiegato delle Imposte, un bigliettino che recitava testualmente:

Carissimo Mario,
Ti farà meraviglia il motivo per cui mi accingo a scriverti. Gli è che, avendo saputo che Don Pio Laghi, attualmente reggente la parrocchia di Porto Garibaldi deve andarsene, reputo di dover spezzare una lancia a favore del suo ritorno definitivo appena Egli avrà terminato gli studi. Proprio io, capisci, proprio io vecchio "mangiapreti', mi frappongo a che questo giovane prete non venga allontanato da Porto Garibaldi (non certo per servire il mio... cannibalismo).

Don Pio si è acquistato la simpatia dei miei pescatori, dei miei portuali, dei miei marittimi e quella mia non degna. Egli è il prete che ci voleva qui, parrocchia che anche in fatto di preti è sempre stata tanto disgraziata. Tu sai che io ammiro i “preti buoni” come Giuseppe Garibaldi chiamava molti sacerdoti. (...) Ti prego quindi, togliendo il profano da questo mio scritto, di renderti interprete presso l'Eccellentissimo Vescovo di Comacchio dei desideri di coloro che rappresento e se non fossi un reprobo, anche del mio desiderio. Credimi con tutta cordialità tuo Guido Vincenzi[i][1].

Chi era questo pretarello giovane, attivo, amico dei pescatori e degli operai portuali, che era arrivato a commuovere il più vecchio e incallito anticlericale del paese, fino al punto di richiederne il suo ritorno a Porto Garibaldi?

Pio Laghi nacque a Castiglione di Forlì il 21 maggio 1922, quinto e ultimo figlio di una umilissima famiglia contadina.
Nel 1933 suo padre lo iscrisse alla scuola ginnasiale dell'Istituto Salesiano di Faenza.
Il direttore dell'Istituto, don Umberto Caramaschi, notando la serietà e la perseveranza del giovane ragazzo, lo esentò dal pagamento della quota mensile. E il nuovo parroco di Santo Stefano, Monsignor Domenico Barbi, decise di comprargli i libri.
Entrato nella carriera ecclesiastica, Laghi non dimenticherà mai la benevolenza salesiana e metterà al di sopra di tutti i valori del suo esercizio ecclesiale la solidarietà, l'assistenza ai suoi fratelli in stato di necessità.
All'età di 16 anni entrò nel Seminario di Faenza, per frequentare il triennio liceale, grazie a una rinnovata assistenza economica dell'anziano direttore Caramaschi.
In seminario lo accolse il rettore, Monsignor Paolo Babini, già nominato Vescovo di Comacchio.
Pio Laghi, a 19 anni appena compiuti, ottenne la "maturità classica" e, nel settembre 1941, iniziò il corso di Teologia nel Seminario di Faenza.
L'ordinazione sacerdotale ebbe luogo a Faenza il 20 aprile 1946

Il giovane Don Pio aveva 24 anni quando iniziò la sua esperienza pastorale a Porto Garibaldi nell'agosto del 1946.

Furono quattro mesi intensissimi nei quali il sacerdote s'impegnò per la prima volta con indefessa costanza e profondo entusiasmo nella pastorale e nel servizio.
Monsignor Battaglia lo aveva destinato ad assolvere tre compiti ben precisi: assistere spiritualmente e anche materialmente, se necessario, le famiglie che emergevano con enormi difficoltà dalla devastazione bellica, preparare il terreno per creare presso il piccolo porto un asilo destinato ai bambini poveri e dotarlo di suore che dovevano stabilirsi sul luogo.

Il progetto divenne realtà nel dicembre successivo, poco prima che Laghi terminasse la sua missione a Porto Garibaldi e tornasse a Roma per completare il quinto anno del corso di Teologia e preparare la sua tesi dottorale.

Giorno dopo giorno, Laghi aveva affidato a un diario personale le vicissitudini della sua esperienza a Porto Garibaldi.
Non fu un'impresa facile e si evince dalle prime pagine:

"Mi hanno impressionato quei bambini scalzi, con i vestiti a brandelli che vagavano per il paese senza alcuna assistenza (...) Temono la mia sottana nera e quando appaio, scappano. Cercherò di avere tanta pazienza e molto buon cuore, per essere piccolo coi piccoli", scriveva il 28 agosto, giorno del suo arrivo.

Lo spettacolo di distruzione e dolore, le case abbattute dai bombardamenti, perfino la parrocchia era ridotta a rovine e la miseria che imperversava in ogni angolo, non potevano che impressionare intensamente la sensibilità del giovane sacerdote.

Avrebbe scritto quasi 40 anni più tardi, nel centenario della parrocchia dell'Immacolata di Porto Garibaldi:

"Fin dai primi giorni cercai di conoscere e farmi conoscere da quella gente: visitai le famiglie, una ad una; segnai in un quaderno i nomi dei componenti; presi nota di bisogni spirituali e anche materiali che l'uno o l'altro potesse avere. (...) Ogni domenica celebravo la Santa Messa nell'andito dell'edificio delle Scuole. A1 principio si riunirono intorno a me una ventina di fedeli, ma poi il numero crebbe continuamente...".

Più avanti si legge: "La mia attenzione si rivolse particolarmente ai ragazzi: giocavo con loro al pallone o, quando pioveva, li riunivo in qualche casa ospitale, intrattenendoli con giuochi da tavolo".

Tutti i giorni, con nebbia, sole o vento, a cavallo di una bicicletta malandata, il giovane sacerdote faceva la spola tra Porto Garibaldi e Comacchio, sede della Diocesi.
Esercitava il ministero ecclesiale, come indica il Vangelo, "andando di casa in casa".
Non aveva ufficio ne fissa dimora. Dormiva in una povera stanza che la Guardia di Finanza gli aveva prestato provvisoriamente. Nella vecchia caserma, condivideva con la gente il freddo, i disagi, il senso di precarietà di quell'epoca carica d'incertezza.

Avrebbe scritto più tardi:
"Oggi, a distanza di 40 anni, posso dire che fu il periodo più bello della mia vita sacerdotale".

Di quei tempi ardui e difficili, Laghi ha conservato vecchi amici con i quali, quando faceva ritorno alla sua terra natale, era solito incontrarsi e rivangare le esperienze passate:

"La nostra amicizia nacque quando cercai di dire loro una buona parola, insegnare loro il catechismo e prepararli ai Sacramenti. Insomma, essi erano mici maestri nel giuoco mentre io insegnavo loro ad essere buoni cristiani".

Ma il suo destino era un altro e lo avrebbe portato lontano, molto lontano, da quei pescatori dai tratti induriti dal sole, traboccanti di vita e di generosità..
1   U L T I M E    R I S P O S T E    (in alto le più recenti)
gianluca Inserito il - 02/02/2009 : 09:36:34
Domenica 18 Gennaio 2009, il Parroco attuale, Don Piergiorgio, ha ricordato il Cardinale Pio Laghi, leggendo una lunga lettera che scrisse nel 1984, in occasione del I° centenario della Parrocchia all'allora Parroco Don Florindo Arpa.
Ne riportiamo qui di seguito il testo completo, che è anche una preziosa e interessante testimonianza della storia di Porto Garibaldi:

Mi viene chiesto di rievocare qualche ricordo sulla Parrocchia, che per un breve periodo di tempo, nell’immediato dopoguerra, fu oggetto delle mie cure pastorali. Accogliendo l’invito del Parroco, mi metto ora a <<pescare>> nel mare dei ricordi di quei lontani giorni.
Occorre risalire all’agosto 1946, quando sul terreno vi erano ancora numerose mine; la gente che si recava in pineta a far legna, inciampando in una di esse, poteva rimetterci la vita o uscirne con una gamba o un braccio di meno; ho vissuto io stesso il dramma di ragazzi mutilati. In quel periodo l’80 per cento delle case era ridotto ad un cumulo di macerie; quasi tutta la popolazione era sfollata. La vita del paese cominciava a riprendere, come quando sul vecchio tronco di un albero reciso spunta un nuovo, vigoroso germoglio.
Feci l’ingresso in paese in bicicletta, proveniente da Comacchio, in compagnia dell’allora medico di condotta, Dott. Boschi; era un caldo pomeriggio di fine agosto 1946. Quattro mesi prima ero stato ordinato sacerdote, ed avevo una gran voglia di cimentarmi nel ministero pastorale. Stavo ancora studiando a Roma, e nell’intervallo tra l’esame di licenza in Teologia e la preparazione della laura, avevo una breve vacanza: me ne volli servire per <<provare>> a fare il prete. Ero, come si suol dire, alle prime armi, e sul principio ebbi qualche esitazione; ma poi il buon cuore della gente mi venne in aiuto per rompere il ghiaccio.
Il Dott. Boschi mi fece compiere il giro del paese; passando davanti all’ edificio delle scuole, mi indicò che li si trovavano due brave maestre che mi avrebbero aiutato: la Sig.ra Tecla, romagnola come me, e la Sig.ra Bettina. Mi introdusse pure in casa della famiglia Simoni, dove erano custodite le statue dei Santi della Parrocchia; e mi presentò al farmacista e alla moglie, Sig.ra Maggiorina.
Mi sarei dovuto spaventare davanti a un paese in rovina, e non nego che mi sentii smarrito. Ma le persone che vi trovai fin dall’inizio mi infusero enorme coraggio. Le trovai fiduciose: <<il peggio – sembravano dirmi – è passato>>. E quando davanti ai miei occhi, abituati alla monotonia della pianura padana, si aprì la visione del mare, fui preso fui preso da una forte attrazione, che poi si trasformò in profondo amore per il paese e per la gente, tanto da essere tentato di abbandonare gli studi, la mia diocesi di origine, Faenza, ed ogni altro progetto, e di restare in permanenza a Porto Garibaldi.
Fin dai primi giorni cercai di conoscere e farmi conoscere dalla gente; visitai le famiglie, una ad una; segnai in un quaderno i nomi dei componenti, presi nota dei bisogni spirituali ed anche materiali che l’uno o l’altro potessero avere, compiendo poi i necessari interventi presso le Autorità, in Ferrara od in Comacchio. Ogni Domenica celebravo la S. Messa nell’andito dell’edificio delle scuole. Al principio si riunirono intorno a me una ventina di fedeli, ma poi il numero crebbe continuamente.
La mia attenzione si rivolse particolarmente ai ragazzi: giocavo con loro al pallone o, quando pioveva, li riunivo in qualche casa ospitale, intrattenendoli con giuochi da tavola. Me li feci amici per dir loro una buona parola, insegnare loro il catechismo e prepararli ai Sacramenti. Essi erano miei maestri nel giuoco, ed io insegnavo loro ad essere buoni cristiani; alcuni di quei giovani, diventati adulti, hanno mantenuto con me, fino ad oggi, legami di buona amicizia.
Dalla fine di agosto ai primi di gennaio 1947, facesse buono o cattivo tempo, soffiasse il vento dal mare o vi fosse nebbia, feci la spola in bicicletta tra Comacchio e Porto Garibaldi; fino all’8 dicembre, cioè fino a quando non arrivarono le Suore dell’Asilo, feci pranzo al sacco, oppure usufruii dell’ospitalità di questa o quella famiglia; ricordo in particolare, con viva gratitudine, le famiglie Chiodi, Bonazza e Meandri. Esercitavo il ministero, come comanda il Vangelo, <<di casa in casa>>. Non avevo ne ufficio proprio, ne luogo dove risiedere; mi fu assegnata in prestito, una stanza nella vecchia caserma delle Guardie di Finanza, vicino al faro, e lì potei trascorrere nell’ultimo periodo le notti, per riposare. Condivisi con la gente, rimasta senza tetto per tanto tempo, il peso della precarietà della vita e la mancanza di ogni comodità. Soffrii con loro il freddo, l’incertezza del domani, la deficienza dei servizi… A distanza di quasi quarant’anni, posso dire che quello fu per me il periodo più bello della mia vita sacerdotale.
Poichè le varie famiglie si stavano creando la propria abitazione, in mezzo ad innumerevoli difficoltà, ed il paese cominciava a risorgere, fu mia premura di trovare una <<casa>>, cioè una dimora stabile e dignitosa, anche per il Signore. Della vecchia chiesa non rimaneva pietra su pietra; il nuovo piano regolatore collocava la chiesa in un lotto di terreno più al centro del paese; ma l’approvazione del progetto del nuovo edificio da parte del Genio Civile e le pratiche per il finanziamento del Governo si prospettavano in lunga scadenza; occorreva pensare ad una soluzione <<di rimedio>>. La si trovò, grazie alla sollecitudine di Mons. Babini ed alla beneficenza di un ente internazionale, di cui era presidente l’On. Ludovico Montini, fratello del futuro Paolo VI. L’Ente donò al Vescovo un edificio prefabbricato in legno, composto di varie aule, dotato di luce, di acqua corrente e di cucina. L’ installazione dell’edificio, affidata all’ impresa edile Lucani, fu terminata ai primi di dicembre; proprio in quei giorni dalla Casa Madre di Rimini arrivarono le Suore Francescane di S’Onofrio che entrarono nella <<baracca>>: con esse entrò in maniera permanente il Signore, e vi cominciarono ad affluire un nugolo di bambini e bambine frequentanti la scuola materna.
L’apertura ed il mantenimento dell’Asilo furono resi possibili dall’eroico impegno delle prime Suore (Suor Alfonsina, Suor Celina e Suor Federica: quest’ultima, colpita da tifo, in giovanissima età, ci lasciò la vita), dagli aiuti dell’UNRRA e dal gesto generoso dei pescatori; la Cooperativa, con un atto approvato all’unanimità dai soci, offrì l’uno per cento dell’intero incasso giornaliero sulle proprie vendite: ritengo che, per il suo carattere pebeepare e per l’alto significato umano e religioso che esso riveste, quell’atto deve iscriversi sull’ albo d’oro della storia di Porto Garibaldi.
Tre episodi rimangono ben vivi nella mia memoria: essi ebbero luogo nell’ultimo scorcio del’46, quando stava per terminare il mio servizio in parrocchia: la camminata a piedi compiuta da Mons. Babini da Comacchio a Porto e ritorno, in un nebbioso pomeriggio di metà dicembre; non possedeva l’automobile, e per trasferirsi da una località all’altra della diocesi si serviva della corriera o del treno o della macchina di qualche amico; ma quel giorno egli fece ricorso <<al cavallo di San Francesco>>: impiegò un’ora e mezza nell’andata e quasi due ore nel ritorno. Le Suore se lo videro arrivare un po’ stanco, ma felice; esse ed i bimbi dell’Asilo lo accolsero festanti: il giorno dopo mi confidò che non aveva mai passato una notte così riposante!
Il Natale 1946 fu storico, da segnare negli annali della parrocchia; l’aula della baracca adibita a chiesa non bastò per contenere l’enorme folla; si dovettero smontare le pareti divisorie; io fui a San Giuseppe per riportare al Pese le statuette del Presepio appartenenti alla parrocchia; Suor Alfonsina, dotata di una voce armoniosa ed esperta di musica, insegnò ad un coro di bambini le più popolari canzoni natalizie; nella vigilia fui per lunghe ore impegnato ad ascoltare le confessioni; consumammo un delizioso <<cenone>>, con capitone, calde-arroste bagnate in vin di bosco. Alla mezzanotte, la baracca, sfolgorante all’interno di luci ed ornata di fiori, si riempì di gente di ogni età. Le pareti trasudavano dal calore; i vetri appannati. Fuori, un vento gelido, un silenzio quasi sacro… Fu uno dei più bei Natali da me celebrati: in certo senso perfino più bello di quelli trascorsi, cinque volte, a Betlemme!
Il terzo episodio mi riporta alla notte dell’ultimo dell’anno: gli amici vollero celebrarla in allegria; allestirono il <<cenone>> in un ambiente – non ricordo quale fosse la casa – nei pressi del molo; c’erano tutti: Vincenti, Sangiorgi, Massari, Bonazza, Lucani, Ronconi… Le figure di quei cari amici, alcuni di loro ora deceduti, riemergono sullo sfondo di una sala ancora senza intonaco, intorno ad una mensa bene imbandita; affratellati insieme in un pensiero di ringraziamento a Dio per quello che nell’anno che stava per morire era stato compiuto nel paese, ed in una fervida speranza che il 1947 fosse migliore e portasse ad ogni famiglia del paese più serenità e conforto. Il giorno dopo, 1° dell’anno, celebrai la Messa nella baracca con questi pensieri in mente.
Il 3 gennaio dissi <<addio>> al paese, alle brave Suore, ai bimbi dell’Asilo, alle Maestre, agli amici e partii alla volta di Roma. Da allora ebbe inizio per me un lungo peregrinare per il mondo: Nicaragua, Stati Uniti d’America, India, Medio Oriente, Argentina e di nuovo Stai Uniti: ovunque ho portato con me nel cuore – ve lo assicuro – Porto Garibaldi e la sua brava gente.
Washington 1984

Da: Lettera alla Famiglia Anno 19° n° 4 Gennaio 2009
Testo della sua esperienza pastorale a Porto Garibaldi che sua Eminenza ha scritto nel 1984, mentre era Nunzio Apostolico a Washington, in occasione del 1° centenario della Parrocchia.



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